I Lucchesi con queste genti e con altri aiuti de' collegati entrarono nel contado di Pisa, e misero a sacco tutto il paese, e presero alcune castella, le quali desolarono insino a' fondamenti. Di poi andarono a campo a Vicopisano, e fecero grande sforzo d'avere il castello: ma essendo bene difeso da quelli di drento, finalmente si levarono dalla impresa.
In quello medesimo anno quasi all'uscita dell'autunno furono rimandate genti in quello d'Arezzo per la cagione che appresso diremo. Era dentro in Arezzo uno cittadino chiamato Tarlato, uomo famoso di stirpe e di ricchezza, il quale dopo la rotta degli Aretini e l'arsione del loro contado, aveva preso il governo della terra. La potenza sua alcuni avevano a odio: e questi tali tenevano colloqui occulti di rimettere gli usciti in Arezzo e ricevere le genti de' Fiorentini. Tirando adunque innanzi questa pratica, e fermando il dì nel quale dovevano mettere a esecuzione questo trattato, subitamente a Firenze s'ordinò da' magistrati della repubblica, che alla porta s'accendesse una candela, e innanzi ch'ella fosse consumata, sotto gravissima pena fu comandato alla gente d'arme a cavallo, che uscisse fuori della terra. E così fatto, uscirono la sera medesima, e cavalcando tutta notte, innanzi dì si condussero a Montevarchi. E preso alquanto di riposo, di poi andarono il dì a Civitella, il quale castello tenevano gli usciti d'Arezzo: e fecero stima la seguente notte, come s'erano composti, entrare drento in Arezzo. La cosa ordinata maturamente e in maniera d'avere effetto, fu disturbata per uno caso inopinato.
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