Queste furono le obbligazioni dalla parte de' Pisani. I Fiorentini, dal canto loro, promisero di rendere il castello di Peccioli. E certamente questa pace fu onorevole quanto alcun'altra che si ricordi, perchè furono date le condizioni a' Pisani, come se fossero vinti. Ma accadde loro come suole intervenire ne' dubbiosi mali: che innanzi a queste convenzioni temevano i pericoli della guerra e studiarono di fare la pace; e dopo l'accordo fatto, mancando i pericoli della guerra, cominciarono a temere quelli della pace, parendo loro pericoloso che gli usciti tornassero drento, e che il rettore della città avesse a essere di terre nimiche. Temevano ancora la tornata de' figliuoli del conte Ugolino, ricordandosi della crudeltà usata inverso del padre. Per queste cagioni essendo ambigui, non davano licenza a Guido da Montefeltro, come s'erano obbligati, e non liberavano i prigioni: le torri e le mura del Ponte ad Era sì lentamente disfacevano, che pareva che a un tratto pensassero della pace e della guerra. Questa dilazione mosse Ugolino di Gallura a scrivere a Firenze, e lamentarsi che i prigioni non erano liberati, nè a lui e agli altri usciti aperta la via a ritornare, e similmente non si osservavano le altre cose le quali erano state promesse ne' capitoli; e che piacesse al popolo fiorentino di provvedere, che i suoi collegati non fossero messi in oblivione o ingannati dagli avversari. Per questo sospetto furono mandati a Pisa due ambasciadori, Ruggeri d'Ugo degli Albizzi e Cambio d'Aldobrandino Bellincioni, a domandare l'osservanza de' capitoli: i quali come vedessero adempiuti, restituissero il castel
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