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      I prefati ambasciadori, consumato che ebbero buona parte della loro orazione in esaltare la virtù di questo nuovo principe, e in dimostrare con grande eloquenza che non sanza divino e umano consiglio era stato promosso a tanta degnità, finalmente proposero tre cose: la prima, che la sua intenzione era a tempo nuovo di passare in Italia con uno potentissimo esercito di quelle invitte e aspre nazioni; appresso, di venire a Firenze, per mettere pace e riformare la città: e a questo significava, che gli mettessero a ordine il ricetto; ultimamente, che gli era molesto, che gli Aretini fossero oppressati dalla guerra, perocchè, se loro avessero fatto alcuno mancamento, si conveniva ricorrere a lui come a giudice, e domandarne la punizione, piuttostochè per propria autorità cercare la vendetta. E pertanto comandavano, che posassero l'arme, e non seguitassero più oltre nell'impresa contro agli Aretini. A questi ambasciadori fu fatto la risposta nel tenore che appresso diremo: che i Fiorentini avevano da rallegrarsi della assunzione d'uno tale principe, quale loro predicavano; ma della passata sua in Italia con uno esercito di ferocissime genti, a fatica potevano credere, che lo imperadore romano volesse conducere una moltitudine di barbari in Italia, come in uno paese nimico, perocchè si conveniva al principe de' Romani piuttosto conducere Italiani contro a' barbari, che barbari contro a Italiani: nientedimeno, essendo lui della modestia e della giustizia che si diceva, speravano che provvederebbe bene a ogni cosa; e alla parte che comandava, che gli s'apparecchiasse il luogo a Firenze, che il popolo fiorentino farebbe quello che fosse utile alla salute e alla degnità sua: ma lo esercito ch'egli avevano mandato a Arezzo, l'avevano fatto per rimettere drento gli amici e collegati loro, i quali dalla parte avversa crudelmente erano stati cacciati; e per questa impresa sì giusta nessuno potersi di loro dolere, massimamente avendo quella parte che teneva la città rotta la pace e mossa la guerra, e dirizzando quella terra alla tirannide e alla sua distruzione; e che non dubitavano punto, che se questo giusto principe avesse notizia di questa cosa, loderebbe piuttosto la impresa de' Fiorentini, che la riprendesse; e che dovevano intendere, se s'aspettasse tanto, che le querimonie gli fossero portate, in quel ne seguirebbe la destruzione de' collegati, alli quali volendo poi il principe, non potrebbe sovvenire.


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Istoria fiorentina
di Leonardo Bruni
Le Monnier Firenze
1861 pagine 852

   





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