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      L'Ancisa, che prima non aveva potuto ottenere, subitamente dopo la partita delle genti si ribellò: e quasi tutti i popoli del Valdarno di sopra e per il Mugello e pel Casentino si dettero spontaneamente allo 'mperadore; e abbandonata la difesa della città di Firenze, frequentavano il campo de' nimici e fornivanlo di vittuaglie. Ancora si credeva, che drento dalla terra molti cittadini contrari a quello reggimento fossero favorevoli a' nimici. Stando le cose in questi termini, sopravvennero a tempo gli aiuti de' confederati, cioè tremila fanti e secento cavalli de' Lucchesi, altrettanti cavalli e dumila fanti de' Sanesi, e similmente degli altri collegati certo numero d'ognuno secondo le sue facultà. E di tutte queste genti si venne a fare a piè e a cavallo uno grande e copioso esercito, il quale posero dentro dalla terra, dove era più vuota, contro al campo de' nimici, acciocchè dì e notte fossero presto alla difesa. In questi luoghi stavano armati i cittadini e loro collegati, e l'altre parti della città erano sì quiete, che pareva non sentissero la ossidione. Stette l'imperadore col campo appresso alla chiesa di Santo Salvi circa di quaranta dì, e vicino alla terra circa uno terzo di miglio. Finalmente, vedendo che consumava il tempo invano, e che ogni dì nella città crescevano gli aiuti de' loro amici, all'uscita d'ottobre innanzi dì si levò col campo, e passato l'Arno, si pose in sul fiume dell'Ema, dua miglia presso a Firenze. Quella notte che si levò, avendo messo fuoco negli alloggiamenti secondo la consuetudine de' soldati, tutta la città per quello tumulto fu in arme.


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Istoria fiorentina
di Leonardo Bruni
Le Monnier Firenze
1861 pagine 852

   





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