Il re, mosso dalle cose che erano accadute a' Lucchesi e da' conforti degli ambasciadori, mandò Piero suo fratello, giovane di singulare grazia, con gente d'arme in Toscana: il quale l'agosto prossimo entrò in Firenze con grande favore e benevolenza di tutto il popolo. Essendo volta la cura de' cittadini alla guerra pisana e lucchese, nasceva uno sospetto che sopravveniva a questa guerra, e turbava tutti i loro disegni: perocchè la parte che teneva Arezzo era apertamente nimica a quella di Firenze e agli altri collegati, e innanzi alla venuta d'Arrigo imperadore s'era mossa, e di poi apertamente s'era intesa con lui.
In effetto la condizione degli Aretini e Lucchesi pareva che andasse del pari: perocchè nell'una città e nell'altra reggevano i nimici, e gli amici e seguaci della medesima parte n'erano cacciati. Solamente v'era questa differenza, che la ruina de' Lucchesi era più fresca, e da quella parte v'era co' Pisani Uguccione nimico più grave e più feroce. E pertanto deliberarono di trattare la pace cogli Aretini, per levarsi quello impedimento, acciocchè non gli avessero a turbare, quando fossero occupati nell'altra impresa. Questa concordia prese a conducere Piero fratello del re, che fu delle prime cose che facesse in Toscana: e bene che la conducesse con grande disavvantaggio degli usciti, nientedimeno fu in quel tempo necessaria.
Le convenzioni furono queste: che al re Ruberto fosse dato il governo e il dominio d'Arezzo per cinque anni con questa eccezione, che non potesse rimettere alcuno degli usciti, nè edificare fortezza drento o tenervi gente a guardia; che le rendite pubbliche fossero della città, e che il re non potesse di quelle domandare alcuna cosa; e che la città desse ogni anno al re quattromila ducati d'oro, e lui fosse obbligato difendergli nella pace e nella guerra.
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