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      Era dunque sbigottito tutto il popolo, e riguardando le cose future, erano dapprima come attoniti: ma di poi, confortando l'uno l'altro, non lasciarono a fare alcuna cosa, per fuggire il presente pericolo. Parve loro innanzi a ogni altro provvedimento d'afforzare Montevarchi e le altre castella del Valdarno di sopra, e di fornirle di buone guardie: e appresso diputarono in ogni castello due cittadini fiorentini per commessarj con alquanto numero di fanti e di balestrieri. Quel medesimo si fece nelle altre castella, delle quali dubitavano o per debolezza o per sospetto. I fossi ancora della terra e altre munizioni appartenenti alla difesa delle mura furono rinnovati. E oltre alle predette cose, furono richiesti i confederati, che mandassero ajuto quanto fosse loro possibile, come si richiedeva a uno tanto e sì estremo pericolo. Poi che ebbero provveduto a queste cose, costantemente aspettavano il pericolo che si dimostrava, il quale senza dubbio sarebbe suto grandissimo, se la benignità di Dio non l'avesse rimosso. Lodovico essendo dimorato alcuno dì a Todi, e messo in punto ogni cosa per venire in Toscana, nuove speranze lo tirarono inverso la marina di sotto: perocchè l'armata de' Siciliani, la quale doveva infestare il Reame, s'era con tanta tardità apparecchiata, che indugiò a venire in quel tempo, quando Lodovico aveva abbandonata quella impresa. Il capitano dell'armata era Piero figliuolo del re Federigo, e con loro s'erano congiunte insieme le navi degli usciti di Genova che erano inimici al re Ruberto.


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Istoria fiorentina
di Leonardo Bruni
Le Monnier Firenze
1861 pagine 852

   





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