Questo tale adunque occultamente, a tempo che nessuno aspettava tal cosa, cavalcò colle genti, e per trattato prese il Borgo, il qual castello è posto in sul Tevere quattordici miglia discosto da Arezzo. E nientedimeno, tenendosi la fortezza, Saccone, avuta la novella, vi cavalcò colle genti, e per mettervi il soccorso, andava tentando ogni cosa. In questo mezzo i Perugini, come era ordinato, per la via di Cortona che è lontana da quella del Borgo corsero in quel d'Arezzo; e Saccone, avvisato di questo, subitamente lasciò la cura del Borgo e tornò a Arezzo: e in quello luogo con grande celerità armò la moltitudine del popolo, e ordinata in battaglia, andò a trovare i nimici con certissima speranza di combattere. I Perugini non ricusarono la battaglia, ma come uomini fieri, si misero in punto alla zuffa. Dato adunque il segno del combattere, vennero alle mani, e fu un dubbioso e aspro fatto d'armi. In ultimo gli Aretini, avanzando d'animo e di forze, ottennero la vittoria, e misero in fuga i Perugini; e rotti e spezzati gli perseguitarono con grande danno e uccisione de' nimici, e presero in quella vittoria venti bandiere delle loro: e di poi entrarono nel contado di Perugia, e posero il campo due miglia presso alla città, e predarono tutto il paese circostante.
Ma i Fiorentini, intesa la rotta de' Perugini, ricordandosi della amicizia antica, prestamente mandarono loro soccorso di gente d'arme a cavallo, che in quella avversità dette loro grande conforto. Non molto di poi, passando certe genti presso alla città di Firenze, pacificamente mandate in ajuto a Saccone da Genova, donde era la sua donna, furono assaltate dalla gioventù fiorentina e spogliate d'armi e di carriaggi, e rimandate indrieto.
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