Il resto adunque della moltitudine, rifatti gli alloggiamenti, si fermarono nel medesimo luogo. Il capitano, niente sbigottito per tale novità, seguì la impresa col suo medesimo ardire e usata confidenza. Già gli altri principi di Lombardia, sperando la ruina di Mastino, s'erano collegati insieme, e in quello di Mantova, quanto in alcuno altro tempo, si ragunavano genti de' Milanesi, Ferraresi e Mantovani, a' quali il capitano della lega mandò Marsilio suo fratello con dumila quattrocento cavalli, e lui si rimase col resto delle genti nel campo a Bogolenta. Lo esercito di questi principi, poi che fu messo insieme, passò di Mantovano in Veronese: e di consentimento di tutti, Luchino Visconti v'era capitano, il quale si pose presso a Verona a percuotere la sedia e la casa del tiranno. Da altra parte Carlo figliuolo del re Giovanni venne in quel medesimo tempo a offendere Feltro e Bellona che erano terre di Mastino; e Padova era continuamente stretta dall'altro campo. Da' quali mali circondato il tiranno, prese un partito benchè pericoloso, nientedimeno molto virile. Uscì di Verona con tutto lo esercito che v'era, circa quattromila cavalli e grande numero di fanti, ma terrazzani e inusitati. Con queste genti ferocemente andò a trovare il nimico, e ordinato lo esercito in battaglia, domandò la zuffa. Luchino, benchè avesse grande numero di cavalli, nientedimeno non volle venire alle mani, nè fare esperienza della battaglia. La qual cosa molto accrebbe gli animi e lo ardire de' nimici, e avvilì in forma le menti de' suoi, che temendo chi di una cosa e chi d'un'altra, deliberarono partirsi.
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