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      Ma per rimediare che di drieto non gli rimanesse alcuno avversario, mitigato il figliuolo di Mastino (che era succeduto al padre nel dominio) con molte promesse, non solamente l'aveva rimosso dal proposito paterno, ma ancora l'aveva ridotto a fare confederazione con lui. La quale come fu divulgata, mosse gli altri tiranni di Lombardia a venire nella amicizia sua. In questo mezzo, dissimulando il proposito suo, parlava amichevolmente del popolo fiorentino, e alcuna volta gli scriveva, per levare via ogni suspizione. Aveva fatto capitano della gente che teneva a Bologna messere Bernabò suo nipote, e voleva che si credesse che la mente sua fussi vôlta altrove; e per cominciare la guerra in altri luoghi, ordinò che fossi posto il campo a Imola. In quella ossidione vi fu grande numero di Bolognesi, comandati d'andare col campo, acciocchè, uscendo le genti fuori, non facessero dentro qualche novità. Furono ancora in questo esercito molti da Faenza e da Forlì, i signori de' quali, parte per la inimicizia del sommo pontefice, parte per la conformità della setta ghibellina, s'erano uniti con lo arcivescovo. Oltre a queste genti, vi si trovavano le sue, delle quali era capitano messere Bernabò, cioè con tremila cavalli e quattromila fanti di condotta. Confidandosi adunque in questo tanto esercito, nella prima giunta dettono la battaglia a Imola: e non succedendo la cosa al desiderio suo, la ossidiò da ogni parte, e non si mise più a vincerla per forza, avendo tentato più volte d'ottenere la punta, e veduto che la città forte per sè medesima e ben fornita di gente s'era vigorosamente difesa.


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Istoria fiorentina
di Leonardo Bruni
Le Monnier Firenze
1861 pagine 852

   





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