Circa a questo tempo papa Clemente, stimolato dagli oratori fiorentini e dagli altri collegati delle città di Toscana, finalmente propose loro tre cose: la lega con la chiesa romana; la passata di Carlo nuovamente eletto allo imperio; la pace dello arcivescovo di Milano: di queste tre cose eleggessero gli ambasciadori quella che fusse loro più grata, e lui ne seguirebbe la volontà e elezione loro. Gli oratori, ristretti insieme e esaminate queste proposte, ultimamente giudicarono esser meglio rimettere tale deliberazione nello arbitrio suo. E così fatto, la santità del papa prese la parte più dolce e più benigna, dicendo che gli piaceva di dare la pace come cosa più conveniente al romano pontefice che alcuna altra, e che farebbe ogni opera a tirarla innanzi in tal forma, che fusse approvata dalle parti. E non molto di poi, avuta questa occasione di potere ricevere a grazia il nimico, senza offesa o querimonia delle città di Toscana, in pubblico concistoro, alla presenza di tutta la moltitudine, levò le censure e tutte le scomuniche allo arcivescovo, e riconciliollo, lasciandogli il governo di Bologna per dodici anni. Per le quali cose ebbe da lui grande somma di pecunia in nome di censo. Alla pace, come cosa che aveva bisogno di lunga pratica, dette dilazione. La tregua solamente per un anno fu pronunziata per autorità del papa, acciocchè in quel tempo s'avesse facoltà di praticare la pace con diligente esamine.
Questa cosa fu molesta a' nostri oratori per più cagioni; massimamente per la riconciliazione sì presto e in su' loro occhi fatta col nimico, e per la pace prolungata, parendo loro che non si dovesse prima restituirlo a grazia, che far quella.
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