Ed ora hai ardire appresso lo imperadore romano di domandare d'essere fatto presidente della patria, nella quale, quando avevi il governo, levasti quanto ti fu possibile le giurisdizioni del romano imperio, e quello che era stato commesso a te sottomettesti ad altri! Con che occhi ti potrebbero guardare i cittadini, quando ti vedessero restituito nella patria? Certamente non senza lamento e amarezza di cuore, conciosiacosachč quella cittā, la quale anticamente fu capo di Toscana, tusolo cittadino sia stato quello che per danari l'abbia data in servitų. E ora vuoi tornare in quella, nella quale non sarā uomo, nč donna, nč fanciullo, che ti possa vedere senza dispetto? E non domanda Saccone solamente d'essere restituito lui, ma ancora gli usciti, i quali sono stati cacciati per le medesime cagioni. E non credere, serenissimo imperadore, che le discordie e le contese di costoro possano stare dentro nelle medesime mura. Egli hanno odio insieme, e l'uno cerca la destruzione dell'altro: e ogni volta che si trovassero nella medesima cittā, metterebbero a fuoco e fiamma ogni cosa. Nessuno di loro sa vivere egualmente cogli altri: ma per maggioranza e insolenza vogliono dominare. Finalmente, i cittadini che al presente si trovano nella patria sono quelli, che poi che da Saccone fu messa in servitų, l'hanno restituita in libertā: e non possono sofferire la tornata di costoro, nč riputerebbero loro essere sicuri, quando costoro fussero rivocati. E pertanto tu hai da vedere, serenissimo principe, quale č meglio: o lasciare nella patria i cittadini che hanno di quella ben meritato, o rimettere costoro e cacciarne loro: chč insieme non possono stare.
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