I Viniziani, richiesti di questa osservanza più volte da' Fiorentini, rispondevano non essere rimase per loro che il Tenedo, com'erano obbligati, non si rendessi; ma la pertinacia del luogotenente era cagione di tale disordine: e parendo che volessino piuttosto cavillare che satisfare co' fatti, detter cagione di querele e di sdegno. E nientedimeno co' Genovesi si prese quella composizione che si potè avere migliore, e a' Viniziani si mandò oratori a domandare il dovere di queste cose.
L'anno seguente, la pestilenza che era già innanzi cominciata fece grande danno, e i cittadini si fuggirono, e la terra venne a rimanere vuota in modo, che ebbero sospetto che non fusse messa in preda dalla infima moltitudine. Il perchè si fece una legge, che nessuno cittadino si partissi da casa, acciocchè la città restassi più frequentata, e le robe abbandonate non venissero nelle mani de' malfattori. Ma nè legge nè proibizione poteva ritenere il fuggire de' cittadini, perchè ogni altro timore pareva più leggieri che quello della morte posta loro quasi presente innanzi agli occhi. Quella pestilenza alquanti mesi afflisse la città, e morirono alcuni notabili cittadini: e per questa cagione non si fece in quello anno nè drento nè di fuori cosa alcuna degna di memoria.
L'anno di poi un'altra compagnia di Francesi, passate l'Alpi, pel medesimo cammino che l'altra, venne in Italia in supplemento e favore del duca d'Angiò. Era capitano di quella gente uno Enghiramo francese, signore potente a casa sua e famoso nell'arte militare: e passava questo esercito il numero di dodici mila cavalli.
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