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      Furono ancora confinati molti di quella generazione d'uomini che desideravano la restituzione di quegli cittadini.
     
      Due cose si stima che nocessino a questo grande e riputato cittadino: prima la troppa potenza, e quella non moderata, la seconda, la troppa libertà di riprendere. Delle quali cose l'una gli recò invidia, l'altra malivolenza. Gl'imbasciadori che erano mandati alla città frequentavano la sua casa; e tutti quegli che avevano alcuna faccenda pubblica ricorrevano a lui, come a uno loro padre e protettore. La qual cosa non era commendata dagli amici suoi, e i nimici lo chiamavano duce e signore per calunniarlo: tanto è molesta ogni cosa eminente nelle città libere! Ma troppo gli stette per nuocere la libertà del riprendere. Lui certamente uomo intero non poteva patire i vizj degli uomini, e spesse volte li perseguitava: e questo non tanto giovava alla repubblica, quanto noceva a lui: perocchè i cittadini nelle città libere si debbono benignamente ammonire e dirizzare e non con asprezza di parole riprendere. Per queste cose lui confinato venne a abbandonare la patria. La cagione del suo esilio manifestano le pubbliche lettere scritte al suo fratello carnale della chiesa romana cardinale, perocchè e' dicono, che mal volentieri e non senza dolore hanno mandato il principale cittadino in esilio, perchè a un tempo estraordinario aveva levato alcuni cittadini a speranza di nuove riforme di squittinj e nuove restituzioni, e preparato in tal maniera, che non si potendo ottenere per pubblica deliberazione, si tentasse colla forza e coll'arme.


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Istoria fiorentina
di Leonardo Bruni
Le Monnier Firenze
1861 pagine 852