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      Lo imperadore solamente rimase per vergogna a Trento, e non deliberava quello fussi da fare: perocchè tornare di là da' monti, sanza aver fatto alcun profitto della impresa, gli pareva grande vergogna e diminuzione del suo nome; e restare in Italia con sì poche forze, giudicava essere cosa vana. In questo mezzo il signore Francesco da Carrara e altri baroni che gli erano intorno, e similemente gli oratori Fiorentini, lo confortavano che si trasferissi a Padova, mostrandogli che la sua fama in questo modo si verrebbe a conservare, e in Italia restava ancora grande speranza delle cose. Lui, benchè desiderassi tornare di là dall'Alpi, nientedimeno, parte per vergogna, parte per speranza, deliberò di seguire il loro consiglio. Il perchè si parti da Trento e venne a Trevigi, e poi si condusse a Padova.
     
      I Fiorentini gli mandarono di nuovo quattro imbasciadori, cavalieri di nobili case, cioè messer Rinaldo Gianfigliazzi, messer Maso degli Albizzi, messer Filippo Corsini, messer Tommaso Sacchetti: i quali menarono con loro secento cavalli molto bene a ordine, che n'erano condottieri Sforza e Baldassarre modanese. Giunti adunque allo 'mperadore e ricevuti benignamente, nel praticare i rimedj che erano da fare, trovarono la mente sua non molto ardita, nè con molta speranza: perchè disse loro, come le forze sue e quelle de' Fiorentini non erano tante che potessino abbattere il duca di Milano, e che era necessario il sommo pontefice e i Veneziani entrassino in lega e compagnia della guerra: e appresso domandava sì grande somma di danari, che manifestamente si vedeva, che non recava cosa alcuna del suo, ma ogni cosa bisognava fare alle spese de' Fiorentini.


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Istoria fiorentina
di Leonardo Bruni
Le Monnier Firenze
1861 pagine 852

   





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