Nascevano ancora difficoltà circa le pecunie promesse allo imperadore nella sua venuta, delle quali diceva restare avere una parte, cioè fiorini novantamila, i quali voleva gli fussino dati innanzi a ogni altra cosa; di poi si trattassi di nuove convenzioni, parendo loro. I Fiorentini dicevano avere promesso il danajo con tale condizione che da lui non era stata adempiuta; e pertanto non dovere pagare questo danajo: e nientedimeno di quella somma averne già dati venticinque migliaja di fiorini. Essendo in queste altercazioni consumato quasi uno mese di tempo, e espressamente negategli il pagamento del danaro, lo 'mperadore per isdegno deliberò partirsi. Il perchè, mandate innanzi le genti d'arme a Trevigi per la via di terra, lui n'andò a Vinegia, per vedere quella città mirabile, e se poteva, farsela amica. Fu ricevuto da' Veneziani con grande magnificenza e con tutti gli onori che si convengono a simili principi. Il dì seguente che egli era entrato nella città, parlando del fatto suo, fece grande querela de' Fiorentini, dicendo che era stato da loro sollicitato, e indotto a passare in Italia con celerità e fuori di stagione, e ora ricusavano d'osservare le cose promesse: il perchè, lasciato e spregiato, contro allo onore del nome suo era costretto ritornare nella Magna.
Erano allora a Vinegia due oratori fiorentini: messer Filippo Corsini e messer Rinaldo Gianfigliazzi, uomini prudenti e di laudabil vita, i quali aveano seguito lo 'mperadore per quella cagione insino a Vinegia.
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