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      Benchè non debba parere cosa strana che lo 'mperadore de' Romani passi in Italia. Gli altri che sono venuti di qua non sono stati secentomigliaja, come i Cimbri e' Teutonici, nè tali nè tanti che dovessino spaventare tutta Italia. Finalmente, la pena che ci domandano, per avere violata la triegua e la pace, noi la domandiamo al duca di Milano, per aver violata e rotta la fede: e di questo siamo contenti starne alla determinazione vostra e di qualunque altri. E alla parte che dicono, nessuno doversi meravigliare, se ci fa guerra, rispondiamo, che già molto innanzi ognuno s'è rimasto da maravigliarsi, perocchè la sua consuetudine è stata sempre e a diritto e a torto fare la guerra. Ma noi ci ingegneremo di resistere alla sua violenza, avendo speranza in Dio e nella giustizia nostra."
     
      Queste cose furono dette e risposte alla presenza de' Veneziani, i quali approvarono molto gli oratori fiorentini: e parendo loro avere satisfatto allo onore della città, come mezzani s'ingegnavano con gravi e prudenti parole mitigare gli animi delle parti.
     
      L'anno seguente, che fu nel 1402, intorno a Bologna si ridusse la guerra con grandissimo sforzo dell'una parte e l'altra: perocchè, innanzi alla partita dello 'mperadore, il duca Giovan Galeazzo, levato in speranza per la prosperità delle cose sue, aveva fatto andare una parte delle genti alla distruzione del nuovo signore di Bologna. Di poi, essendosi partito lo 'mperadore, di nuovo e in suo nome e palesemente vi mandò maggiore numero di gente d'arme.


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Istoria fiorentina
di Leonardo Bruni
Le Monnier Firenze
1861 pagine 852

   





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