Settimo, avertesi che chi ha ritrovato quest’uno, dico la raggione di questa unità, ha ritrovata quella chiave, senza la quale è impossibile aver ingresso alla vera contemplazion de la natura. Ottavo, con nova contemplazione si replica, che l’uno, l’infinito, lo ente e quello che è in tutto, è per tutto, anzi è l’istesso ubique; e che cossí la infinita dimensione, per non essere magnitudine, coincide con l’ individuo, come la infinita moltitudine, per non esser numero, coincide con la unità. Nono, come ne l’infinito non è parte e parte, sia che si vuole ne l’universo esplicatamente; dove però tutto quel che veggiamo di diversità e differenza, non è altro che diverso e differente volto di medesima sustanza. Decimo, come ne li doi estremi, che si dicono nell’estremità de la scala della natura, non è piú da contemplare doi principii che uno, doi enti che uno, doi contrarii e diversi, che uno concordante e medesimo. Ivi l’altezza è profondità, l’abisso è luce inaccessa, la tenebra è chiarezza, il magno è parvo, il confuso è distinto, la lite è amicizia, il dividuo è individuo, l’atomo è immenso; e per il contrario. Undecimo, qualmente certe geometriche nominazioni come di punto e uno, son prese per promovere alla contemplazione de lo ente e uno, e non sono da per sé sufficienti a significar quello. Onde Pitagora, Parmenide, Platone non denno essere sí scioccamente interpretati, secondo la pedantesca censura di Aristotele. Duodecimo, da quel, che la sustanza ed essere è distinto dalla quantità, dalla misura e numero, s’inferisce che la è una e individua in tutto e in qualsivoglia cosa.
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Pitagora Parmenide Platone Aristotele
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