Filoteo. Dite liberamente.
Armesso. Io non parlarò come santo profeta, come astratto divino, come assumpto apocaliptico, né quale angelicata asina di Balaamo; non raggionarò come inspirato da Bacco, né gonfiato di vento da le puttane muse di Parnaso, o come una Sibilla impregnata da Febo, o come una fatidica Cassandra, né qual ingombrato da le unghie de’ piedi sin alla cima di capegli de l’entusiasmo apollinesco, né qual vate illuminato nell’oraculo o delfico tripode, né come Edipo esquisito contra gli nodi della Sfinge, né come un Salomone inver gli enigmi della regina Sabba, né qual Calcante, interprete dell’olimpico senato; né come un inspiritato Merlino, o come uscito dall’antro di Trofonio. Ma parlarò per l’ordinario e per volgare, come uomo che ho avuto altro pensiero che d’andarmi lambiccando il succhio de la grande e piccola nuca, con farmi al fine rimanere in secco la dura e pia madre; come uomo, dico, che non ho altro cervello ch’il mio; a cui manco gli dei dell’ultima cotta e da tinello nella corte celestiale (quei dico che non bevono ambrosia, né gustan nettare, ma vi si tolgon la sete col basso de le botte e vini rinversati, se non vogliono far stima de linfe e ninfe, quei, dico, che sogliono esser piú domestici, familiari e conversabili con noi), come è dire né il dio Bacco, né quel imbreaco cavalcator de l’asino, né Pane, né Vertunno, né Fauno, né Priapo, si degnano cacciarmene una pagliusca di piú e di vantaggio dentro, quantunque sogliano far copia de’ fatti lor sin ai cavalli.
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