Filoteo. Non vi maravigliate, fratello, perché questa non fu altro ch’una cena, dove gli cervelli vegnono governati dagli affetti, quali gli vegnon porgiuti dall’efficacia di sapori e fumi de le bevande e cibi. Qual dunque può essere la cena materiale e corporale, tale conseguentemente succede la verbale e spirituale; cossí dunque questa dialogale ha le sue parti varie e diverse, qual varie e diverse quell’altra suole aver le sue; non altrimente questa ha le proprie condizioni, circonstanze e mezzi, che come le proprie potrebbe aver quella.
Armesso. Di grazia, fate ch’io vi intenda.
Filoteo. Ivi, come è l’ordinario e il dovero, soglion trovarsi cose da insalata da pasto, da frutti da ordinario, da cocina da speciaria, da sani da amalati, di freddo di caldo, di crudo di cotto, di acquatico di terrestre, di domestico di selvatico, di rosto di lesso, di maturo di acerbo, e cose da nutrimento solo e da gusto, sustanziose e leggieri, salse e inspide, agreste e dolci, amare e suavi. Cossí quivi, per certa conseguenza, vi sono apparse le sue contrarietadi e diversitadi, accomodate a contrarii e diversi stomachi e gusti, a’ quali può piacere di farsi presenti al nostro tipico simposio, a fine che non sia chi si lamente di esservi gionto invano, e a chi non piace di questo, prenda di quell’altro.
Armesso. È vero; ma che dirai, se oltre nel vostro convito, ne la vostra cena appariranno cose, che non son buone né per insalata né per pasto, né per frutti né per ordinario, né fredde né calde, né crude né cotte, né vagliano per l’appetito né per fame, non son buone per sani né per ammalati, e conviene che non escano da mani di cuoco né di speciale?
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