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      Filoteo. T’inganni pensando ch’io sia stato su la vendetta.
      Armesso. E che dunque?
      Filoteo. Io son stato su la correzione, nell’esercizio della quale ancora siamo simili agli Dei. Sai che il povero Vulcano è stato dispensato da Giove di lavorare anco gli giorni di festa; e quella maladetta incudine non si lassa o stanca mai a comportar le scosse di tanti e sí fieri martelli, che non sí tosto è alzato l’uno che l’altro è chinato, per far che gli giusti folgori, con gli quali gli delinquenti e rei si castigheno, non vegnan meno.
      Armesso. È differenza tra voi e il fabro di Giove e marito della ciprigna dea.
      Filoteo. Basta che ancora non son dissimile a quelli forse nella pazienza e longanimità; la quale in quel fatto ho essercitata, non rallentando tutto il freno al sdegno, né toccando di piú forte sprone l’ira.
      Armesso. Non tocca ad ognuno di essere correttore, massime de la moltitudine.
      Filoteo. Dite ancora, massime quando quella non lo tocca.
      Armesso. Si dice che non devi esser sollecito nella patria aliena.
      Filoteo. E io dico due cose: prima, che non si deve uccidere un medico straniero, perché tenta di far quelle cure che non fanno i paesani; secondo dico, che al vero filosofo ogni terreno è patria.
      Armesso. Ma se loro non ti accettano né per filosofo né per medico, né per paesano?
      Filoteo. Non per questo mancarà ch’io sia.
      Armesso. Chi ve ne fa fede?
      Filoteo. Gli numi che me vi han messo, io che me vi ritrovo, e quelli ch’hanno gli occhi, che me vi veggono.
      Armesso. Hai pochissimi e poco noti testimoni.


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De la causa principio et uno
di Giordano Bruno
pagine 135

   





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