Ma quegli altri tanto piú si mostrano espressamente rustici, quanto par che vogliano o col divum pater o col gigante Salmoneo altitonare, quando se la spasseggiano da purpurato satiro o fauno con quella spaventosa e imperial prosopopeia, dopo aver determinato nella catedra regentale a qual declinazione appartenga lo hic, et haec, et hoc nihil.
Armesso. Or lasciamo questi propositi. Che libro è questo che tenete in mano?
Filoteo. Son certi dialogi.
Armesso. La Cena?
Filoteo. No.
Armesso. Che dunque?
Filoteo. Altri, ne li quali si tratta De la causa, principio e uno secondo la via nostra.
Armesso. Quali interlocutori? Forse abbiamo quall’altro diavolo di Frulla o Prudenzio, che di bel nuovo ne mettano in qualche briga.
Filoteo. Non dubitate, che, tolto uno, tra gli altri tutti son suggetti quieti e onestissimi.
Armesso. Sí che, secondo il vostro dire, arremo pure da scardar qualche cosa in questi dialogi ancora?
Filoteo. Non dubitate, perché piú tosto sarrete grattato dove vi prore, che stuzzicato dove vi duole.
Armesso. Pure?
Filoteo. Qua per uno trovarete quel dotto, onesto, amorevole, ben creato e tanto fidele amico Alessandro Dicsono Arelio, che il Nolano ama quanto gli occhi suoi; il quale è causa che questa materia sia stata messa in campo. Lui è introdutto come quello, che porge materia di considerazione al Teofilo. Per il secondo avete Teofilo, che sono io; che secondo le occasioni, vegno a distinguere, definire e dimostrare circa la suggetta materia. Per il terzo avete Gervasio, uomo che non è de la professione; ma per passatempo vuole esser presente alle nostre conferenze; ed è una persona che non odora né puzza e che prende per comedia gli fatti di Polihimnio e da passo in passo gli dona campo di fargli esercitar la pazzia.
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