Questo sacrilego pedante avete per il quarto: uno de’ rigidi censori di filosofi, onde si afferma Momo, uno affettissimo circa il suo gregge di scolastici, onde si noma nell’amor socratico; uno, perpetuo nemico del femineo sesso, onde, per non esser fisico, si stima Orfeo, Museo, Titiro e Anfione. Questo è un di quelli, che, quando ti arran fatto una bella construzione, prodotta una elegante epistolina, scroccata una bella frase da la popina ciceroniana, qua è risuscitato Demostene, qua vegeta Tullio, qua vive Salustio; qua è un Argo, che vede ogni lettera, ogni sillaba, ogni dizione; qua Radamanto umbras vocat ille silentum; qua Minoe, re di Creta, urnam movet. Chiamano all’essamina le orazioni; fanno discussione de le frase, con dire: - queste sanno di poeta, queste di comico, questa di oratore; questo è grave, questo è lieve, quello è sublime, quell’altro è humile dicendi genus; questa orazione è aspera; sarrebe leve, se fusse formata cossí; questo è uno infante scrittore, poco studioso de la antiquità, non redolet Arpinatem, desipit Latium. Questa voce non è tosca, non è usurpata da Boccaccio, Petrarca e altri probati autori. Non si scrive homo, ma omo; non honore, ma onore; non Polihimnio, ma Polihimnio. - Con questo triomfa, si contenta di sé, gli piaceno piú ch’ogn’altra cosa i fatti suoi: è un Giove, che, da l’alta specula, remira, e considera la vita degli altri uomini suggetta a tanti errori, calamitadi, miserie, fatiche inutili. Solo lui è felice, lui solo vive vita celeste, quando contempla la sua divinità nel specchio d’un Spicilegio, un Dizionario, un Calepino, un Lessico, un Cornucopia, un Nizzolio.
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