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      Gervasio. Come quei che san far sí belle spade, ma non le sanno adoperare.
      Polihimnio. Ferme.
      Gervasio. Fermàti te siano gli occhi, che mai le possi aprire.
      Teofilo. Dico però che non si richiede dal filosofo naturale che ammeni tutte le cause e principii; ma le fisiche sole, e di queste le principali e proprie. Benché dunque, perché dependeno dal primo principio e causa, si dicano aver quella causa e quel principio, tuttavolta non è sí necessaria relazione, che da la cognizione de l’uno s’inferisca la cognizione de l’altro. E però non si richiede che vengano ordinati in una medesma disciplina.
      Dicsono Arelio. Come questo?
      Teofilo. Perché dalla cognizione di tutte cose dependenti non possiamo inferire altra notizia del primo principio e causa che per modo men efficace che di vestigio, essendo che il tutto deriva dalla sua volontà o bontà, la quale è principio della sua operazione, da cui procede l’universale effetto. Il che medesmo si può considerare ne le cose artificiali, in tanto che chi vede la statua, non vede il scultore; chi vede il ritratto di Elena, non vede Apelle, ma vede lo effetto de l’operazione che proviene da la bontà de l’ingegno d’Apelle, il che tutto è uno effetto degli accidenti e circostanze de la sustanza di quell’uomo, il quale, quanto al suo essere assoluto, non è conosciuto punto.
      Dicsono Arelio. Tanto che conoscere l’universo, è come conoscer nulla dello essere e sustanza del primo principio, perché è come conoscere gli accidenti degli accidenti.
      Teofilo. Cossí; ma non vorei che v’imaginaste ch’io intenda in Dio essere accidenti, o che possa esser conosciuto come per suoi accidenti.


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De la causa principio et uno
di Giordano Bruno
pagine 135

   





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