Dicsono Arelio. Non vi attribuisco sí duro ingegno; e so che altro è dire essere accidenti, altro essere suoi accidenti, altro essere come suoi accidenti ogni cosa che è estranea dalla natura divina. Nell’ultimo modo di dire credo che intendete essere gli effetti della divina operazione; li quali, quantunque siano la sustanza de le cose, anzi e l’istesse sustanze naturali, tuttavolta sono come accidenti remotissimi, per farne toccare la cognizione appreensiva della divina soprannaturale essenza.
Teofilo. Voi dite bene.
Dicsono Arelio. Ecco dunque, che della divina sustanza, sí per essere infinita sí per essere lontanissima da quelli effetti che sono l’ultimo termine del corso della nostra discorsiva facultade, non possiamo conoscer nulla, se non per modo di vestigio, come dicono i platonici, di remoto effetto, come dicono i peripatetici, di indumenti, come dicono i cabalisti, di spalli o posteriori, come dicono i thalmutisti, di spechio, ombra ed enigma, come dicono gli apocaliptici.
Teofilo. Anzi di piú: perché non veggiamo perfettamente questo universo di cui la sustanza e il principale è tanto difficile ad essere compreso, avviene che assai con minor raggione noi conosciamo il primo principio e causa per il suo effetto, che Apelle per le sue formate statue possa esser conosciuto; perché queste le possiamo veder tutte ed essaminar parte per parte, ma non già il grande e infinito effetto della divina potenza. Però quella similitudine deve essere intesa senza proporzional comparazione.
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Arelio Arelio Apelle
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