Come, per esempio, anco rozzo, potreste imaginarvi una voce, la quale è tutta in tutta una stanza e in ogni parte di quella, perché da per tutto se intende tutta; come queste paroli ch’io dico, sono intese tutte da tutti, anco se fussero mille presenti; e la mia voce, si potesse giongere a tutto il mondo, sarebe tutta per tutto. Dico dunque a voi, mastro Polihimnio, che l’anima non è individua, come il punto; ma, in certo modo, come la voce. E rispondo a te, Gervasio, che la divinità non è per tutto, come il Dio di Grandazzo è in tutta la sua cappella; perché quello, benché sia in tutta la chiesa, non è però tutto in tutta, ma ha il capo in una parte, li piedi in un’altra, le braccia e il busto in altre ed altre parti. Ma quella è tutta in qualsivoglia parte, come la mia voce è udita tutta da tutte le parti di questa sala.
Polihimnio. Percepi optime.
Gervasio. Io l’ho pur capita la vostra voce.
Dicsono Arelio. Credo ben de la voce; ma del proposito penso che vi è entrato per un’orecchia e uscito per l’altra.
Gervasio. Io penso che non v’è né anco entrato, perché è tardi, e l’orloggio che tegno dentro il stomaco, ha toccata l’ora di cena.
Polihimnio. Hoc est, idest, ave il cervello in patinis.
Dicsono Arelio. Basta dunque. Domani conveneremo per raggionar forse circa il principio materiale.
Teofilo. O vi aspettarò o mi aspettaret[e] qua.
Fine del Secondo Dialogo.
DIALOGO TERZO
GERVASIO
È pur gionta l’ora, e costoro non son venuti. Poi che non ho altro pensiero che mi tire, voglio prender spasso di udir raggionar costoro, da’ quali oltre che posso imparar qualche tratto di scacco di filosofia, ho pur un bel passatempo circa que’ grilli che ballano in quel cervello eteroclito di Polihimnio pedante.
| |
Polihimnio Gervasio Dio Grandazzo Arelio Arelio Secondo Dialogo Polihimnio
|