Il quale, mentre dice che vuol giudicar chi dice bene, chi discorre meglio, chi fa delle incongruità ed errori in filosofia, quando poi è tempo de dir la sua parte, e non sapendo che porgere, viene a sfilzarti da dentro il manico della sua ventosa pedantaria una insalatina di proverbiuzzi, di frase per latino o greco, che non fanno mai a proposito di quel ch’altri dicono: onde, senza troppa difficultà, non è cieco che non possa vedere quanto lui sia pazzo per lettera, mentre degli altri son savii per volgare. Or eccolo in fede mia, come sen viene che par che nel movere di passi ancora sappia caminar per lettera. Ben venga il dominus magister.
Polihimnio. Quel magister non mi cale: poscia che in questa devia ed enorme etade, viene attribuito non piú ai miei pari che ad qualsivoglia barbitonsore, cerdone e castrator di porci, però ne vien consultato: nolite vocari Rabi.
Gervasio. Come dunque volete ch’io vi dica? Piacevi il reverendissimo?
Polihimnio. Illud est presbiterale et clericum.
Gervasio. Vi vien voglia de l’illustrissimo?
Polihimnio. Cedant arma togae: questo è da equestri eziandio, come da purpurati.
Gervasio. La maestà cesarea, anh?
Polihimnio. Quae Caesaris Caesari.
Gervasio. Prendetevi dunque il domine, deh! , toglietevi il gravitonante, il divum pater!... - Venemo a noi; perché siete tutti cossí tardi?
Polihimnio. Cossí credo che gli altri sono impliciti in qualche altro affare, come io, per non tralasciar questo giorno senza linea, sono versato circa la contemplazion del tipo del globo detto volgarmente il mappamondo.
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Rabi Caesaris Caesari
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