Gervasio. Per qual fine?
Polihimnio. Per giudicare dico.
Gervasio. Invero, a’ pari vostri piú che ad altri sta bene di far giudicio de le scienze e dottrine; perché voi siete que’ soli a’ quali la liberalità de le stelle e la munificenza del fato ha conceduto il poter trarre il succhio da le paroli.
Polihimnio. E consequentemente dai sensi ancora i quali sono congionti alle paroli.
Gervasio. Come al corpo l’anima.
Polihimnio. Le qual paroli, essendo ben comprese, fanno ben considerar ancor il senso: però dalla cognizion de le lingue (nelle quali io, piú che altro che sia in questa città, sono exercitato e non mi stimo men dotto di qualunque sia che tegna ludo di Minerva aperto) procede la cognizione di scienza qualsivoglia.
Gervasio. Dunque, tutti que’ che intendeno la lingua italiana, comprenderanno la filosofia del Nolano?
Polihimnio. Sí, ma vi bisogna anco qualch’altra prattica e giudizio.
Gervasio. Alcun tempo io pensava che questa prattica fusse il principale; perché un che non sa greco, può intender tutto il senso d’Aristotele e conoscere molti errori in quello, come apertamente si vede che questa idolatria, che versava circa l’autorità di quel filosofo (quanto a le cose naturali principalmente), è a fatto abolita appresso tutti che comprendeno i sensi che apporta questa altra setta; ed uno che non sa né di greco, né di arabico, e forse né di latino, come il Paracelso, può aver meglio conosciuta la natura di medicamenti e medicina che Galeno, Avicenna e tutti che si fanno udir con la lingua romana.
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