Gervasio. Quello, forse, intendendo il tratto per non esser tanto oscuro né coperto me dirà: - Tu sei quello che non hai intelletto: io ne ho piú che quanti tuoi pari si ritroveno.
Teofilo. Tu non lo crederai piú che se un cieco ti dicesse, che tu sei un cieco e che lui vede piú che quanti pensano veder come tu ti pensi.
Dicsono Arelio. Assai è detto in dimostrar piú evidentemente, che mai abbia udito, quel che significa il nome materia, e quello che si deve intender materia nelle cose naturali. Cossí il Timeo Pitagorico il quale, dalla trasmutazione dall’uno elemento nell’altro, insegna ritrovar la materia che è occolta, e che non si può conoscere, eccetto che con certa analogia. "Dove era la forma della terra", dice lui, "appresso appare la forma de l’acqua", e qua non si può dire che una forma riceva l’altra; perché un contrario non accetta né riceve l’altro, cioè il secco non riceve l’umido o pur la siccità non riceve la umidità, ma da una cosa terza vien scacciata la siccità e introdotta la umidità, e quella terza cosa è soggetto dell’uno e l’altro contrario, e non è contraria ad alcuno. Adunque, se non è da pensar che la terra sia andata in niente, è da stimare che qualche cosa che era nella terra, è rimasta ed è ne l’acqua: la qual cosa per la medesima raggione, quando l’acqua sarà trasmutata in aria (per quel che la virtú del calore la viene ad estenuare in fumo o vapore), rimarrà e sarà ne l’aria.
Teofilo. Da questo si può conchiudere (ancor a lor dispetto) che nessuna cosa si anichila e perde l’essere, eccetto che la forma accidentale esteriore e materiale.
| |
Arelio Timeo Pitagorico
|