Come dunque queste differenze si reducono alla potenza di medesimo geno, cossí bisogna che le forme sieno di due sorte; perché alcune sono trascendenti, cioè superiori al geno, che si chiamano principii, come entità, unità, uno, cosa, qualche cosa, e altri simili; altre son di certo geno distinte da altro geno, come sustanzialità, accidentalità. Quelle che sono de la prima maniera, non distingueno la materia e non fanno altra e altra potenza di quella; ma, come termini universalissimi che comprendono tanto le corporali, quanto le incorporali sustanze, significano quella universalissima, comunissima e una de l’une e l’altre. Appresso, "che cosa ne impedisce", disse Avicebron, "che, sí come, prima che riconosciamo la materia de le forme accidentali, che è il composto, riconoscemo la materia della forma sustanziale, che è parte di quello; cossí, prima che conosciamo la materia che è contratta ad esser sotto le forme corporali, vegnamo a conoscere una potenza, la quale sia distinguibile per la forma di natura corporea e de incorporea, dissolubile e non dissolubile?". Ancora, se tutto quel che è (cominciando da l’ente summo e supremo) ave un certo ordine e fa una dependenza, una scala nella quale si monta da le cose composte alle semplici, da queste alle semplicissime e assolutissime per mezzi proporzionali e copulativi e partecipativi de la natura de l’uno e l’altro estremo e, secondo la raggione propria, neutri, non è ordine, dove non è certa participazione, non è participazione dove non si trova certa colligazione, non è colligazione senza qualche partecipazione.
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Avicebron
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