Perché dunque l’infinito è tutto quello che può essere; è inmobile; perché in lui tutto è indifferente, è uno; e perché ha tutta la grandezza e perfezione che si possa oltre e oltre avere, è massimo ed ottimo immenso. Se il punto non differisce dal corpo, il centro da la circonferenza, il finito da l’infinito, il massimo dal minimo, sicuramente possiamo affirmare che l’universo è tutto centro, o che il centro de l’universo è per tutto, e che la circonferenza non è in parte alcuna per quanto è differente dal centro, o pur che la circonferenza è per tutto, ma il centro non si trova in quanto che è differente da quella. Ecco come non è impossibile, ma necessario che l’ottimo, massimo, incompreensibile è tutto, è per tutto, è in tutto, perché, come semplice e indivisibile, può esser tutto, essere per tutto, essere in tutto. E cossí non è stato vanamente detto che Giove empie tutte le cose, inabita tutte le parti de l’universo, è centro de ciò che ha l’essere, uno in tutto e per cui uno è tutto. Il quale, essendo tutte le cose e comprendendo tutto l’essere in sé, viene a far che ogni cosa sia in ogni cosa.
Ma mi direste: perché dunque le cose si cangiano, la materia particulare si forza ad altre forme? Vi rispondo, che non è mutazione che cerca altro essere, ma altro modo di essere. E questa è la differenza tra l’universo e le cose de l’universo; perché quello comprende tutto lo essere e tutti i modi di essere: di queste ciascuna ha tutto l’essere, ma non tutti i modi di essere; e non può attualmente aver tutte le circostanze e accidenti, perché molte forme sono incompossibili in medesimo soggetto, o per esserno contrarie o per appartener a specie diverse; come non può essere medesimo supposito individuale sotto accidenti di cavallo e uomo, sotto dimensioni di una pianta e uno animale.
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Giove
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