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      Quinto, da che la definizion del loco che poneva Aristotele non conviene al primo, massimo e comunissimo loco, e che non val prendere la superficie prossima ed immediata al contenuto, ed altre levitadi che fanno il loco cosa matematica e non fisica; lascio che tra la superficie del continente e contenuto che si muove entro quella, sempre è necessario spacio tramezante a cui conviene piú tosto esser loco; e se vogliamo del spacio prendere la sola superficie, bisogna che si vada cercando in infinito un loco finito. Sesto, da che non si può fuggir il vacuo ponendo il mondo finito, se vacuo è quello nel quale è niente.
      Settimo, da che, sicome questo spacio nel quale è questo mondo, se questo mondo non vi si trovasse, se intenderebbe vacuo; cossí dove non è questo mondo, se v'intende vacuo. Citra il mondo, dunque, è indifferente questo spacio da quello: dunque, l'attitudine ch'ha questo, ha quello; dunque, ha l'atto, perché nessuna attitudine è eterna senz'atto; e però eviternamente ha l'atto gionto; anzi essalei è atto, perché nell'eterno non è differente l'essere e posser essere.
      Ottavo, da quel che nessun senso nega l'infinito, atteso che non lo possiamo negare per questo, che non lo comprendiamo col senso; ma da quel, che il senso viene compreso da quello e la raggione viene a confirmarlo lo doviamo ponere. Anzi se oltre ben consideriamo, il senso lo pone infinito; perché sempre veggiamo cosa compresa da cosa, e mai sentiamo, né con esterno né con interno senso, cosa non compresa da altra o simile.


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De l'infinito universo e mondi
di Giordano Bruno
pagine 166

   





Aristotele