Quartodecimo da che, se la potenza infinita attiva attua l'esser corporale e dimensionale, questo deve necessariamente essere infinito; altrimente si deroga alla natura e dignitade di chi può fare e di chi può essere fatto. Quintodecimo, da quel, che questo universo conceputo volgarmente non si può dir che comprende la perfezion di tutte cose altrimente che come io comprendo la perfezione di tutti gli miei membri e ciascun globo tutto quello che è in esso: come è dire, ognuno è ricco a cui non manca nulla di quel ch'ha. Sestodecimo, da quel, che in ogni modo l'efficiente infinito sarrebe deficiente senza l'effetto e non possiamo capir che tale effetto solo sia lui medesimo. Al che si aggiunge che per questo, se fusse o se è, niente si toglie di quel che deve essere in quello che è veramente effetto, dove gli teologi nominano azione ad extra e transeunte, oltre la immanente; perché cossí conviene che sia infinita l'una come l'altra.
Decimo settimo, da quel, che, dicendo il mondo interminato, nel modo nostro séguita quiete nell'intelletto, e dal contrario sempre innumerabilmente difficultadi ed inconvenienti. Oltre, si replica quel ch'è detto nel secondo e terzo. Decimo ottavo, da quel che, se il mondo è sferico, è figurato, è terminato, e quel termine che è oltre questo terminato e figurato (ancor che ti piaccia chiamarlo niente), è anco figurato di sorte che il suo concavo è gionto al di costui convesso; perché onde comincia quel tuo niente è una concavità indifferente almeno dalla convessitudinale superficie di questo mondo.
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