Quarto, in qual maniera corpi distantissimi dal sole possano equalmente come gli piú vicini partecipar il caldo; e si riprova la sentenza attribuita ad Epicuro, come che vuole un sole esser bastante all'infinito universo; e s'apporta la vera differenza tra quei astri che scintillano e quei che non. Quinto s'essamina la sentenza del Cusano circa la materia ed abitabilità di mondi e circa la raggion del lume. Sesto, come di corpi, benché altri sieno per sé lucidi e caldi, non per questo il sole luce al sole e la terra luce alla medesima terra ed acqua alla medesima acqua; ma sempre il lume procede dall'apposito astro, come sensibilmente veggiamo tutto il mar lucente da luoghi eminenti, come da monti; ed essendo noi nel mare, e quando siamo ne l'istesso campo, non veggiamo risplendere se non quanto a certa poca dimensione il lume del sole e della luna ne si oppone. Settimo, si discorre circa la vanità delle quinte essenze: e si dechiara che tutti corpi sensibili non sono altri e non costano d'altri prossimi e primi principii che questi, che non sono altrimente mobili tanto per retto quanto per circulare. Dove tutto si tratta con raggioni piú accomodate al senso commune, mentre Fracastorio s'accomoda all'ingegno di Burchio; e si manifesta apertamente che non è accidente che si trova qua che non si presuppona là, come non è cosa che si vede di là da qua, la quale, se ben consideriamo, non si veda di qua da là; e conseguentemente, che quel bell'ordine e scala di natura è un gentil sogno ed una baia da vecchie ribambite.
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