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      Secondo, si dechiara che, quantunque la superficie d'una terra fusse contigua a l'altra, non averrebe che le parti de l'una si potessero muovere a l'altra, intendendo de le parti eterogenee o dissimilari, non de gli atomi e corpi semplici; onde si prende lezione di meglio considerare circa la natura del grave e lieve. Terzo, per qual caggione questi gran corpi sieno stati disposti da la natura a tanta distanza, e non sieno piú vicini gli uni e gli altri, di sorte che da l'uno si potesse far progresso a l'altro; e quindi, da chi profondamente vede, si prende raggione per cui non debbano esser mondi come nella circonferenza dell'etere, o vicini al vacuo tale in cui non sia potenza, virtú ed operazione; perché da un lato non potrebono prender vita e lume. Quarto, come la distanza locale muta la natura del corpo, e come non; ed onde sia che, posta una pietra equidistante da due terre, o si starebbe ferma, o determinarebbe di moversi piú tosto a l'una che a l'altra. Quinto, quanto s'inganni Aristotele per quel che in corpi, quantunque distanti, intende appulso di gravità o levità de l'uno all'altro; ed onde proceda l'appetito di conservarsi nell'esser presente, quantunque ignobile, ne le cose: il quale appetito è causa della fuga e persecuzione. Sesto, che il moto retto non conviene né può esser naturale a la terra o altri corpi principali, ma a le parti di questi corpi che a essi da ogni differenza di loco, se non son molto discoste, si muoveno. Settimo, da le comete si prende argomento che non è vero che il grave, quantunque lontano, abbia appulso o moto al suo continente.


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De l'infinito universo e mondi
di Giordano Bruno
pagine 166

   





Aristotele