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      L'undecimo, da quel, che, se questo mondo è compíto e perfetto, non è dovero che altro o altri se gli aggiunga o aggiungano.
     
      Questi son que' dubii e motivi, nella soluzion delli quali consiste tanta dottrina, quanta sola basta a scuoprir gl'intimi e radicali errori de la filosofia volgare ed il pondo e momento de la nostra. Ecco qua la raggione, per cui non doviam temere che cosa alcuna diffluisca, che particolar veruno o si disperda o veramente inanisca o si diffonda in vacuo che lo dismembre in adni[c]hilazione. Ecco la raggion della mutazion vicissitudinale del tutto, per cui cosa non è di male da cui non s'esca, cosa non è di buono a cui non s'incorra, mentre per l'infinito campo, per la perpetua mutazione, tutta la sustanza persevera medesima ed una. Dalla qual contemplazione, se vi sarremo attenti, avverrà che nullo strano accidente ne dismetta per doglia o timore, e nessuna fortuna per piacere o speranza ne estoglia: onde aremo la via vera alla vera moralità, saremo magnanimi, spreggiatori di quel che fanciulleschi pensieri stimano; e verremo certamente piú grandi che que' dei che il cieco volgo adora, perché dovenerremo veri contemplatori dell'istoria de la natura, la quale è scritta in noi medesimi, e regolati executori delle divine leggi, che nel centro del nostro core son inscolpite. Conosceremo che non è altro volare da qua al cielo che dal cielo qua, non altro ascendere da qua là che da là qua, né è altro descendere da l'uno a l'altro termine. Noi non siamo piú circonferenziali a essi che essi a noi; loro non sono piú centro a noi che noi a loro; non altrimente calcamo la stella e siamo compresi noi dal cielo, che essi loro.


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De l'infinito universo e mondi
di Giordano Bruno
pagine 166