E perché tutti soggiacemo ad ottimo efficiente, non doviamo credere, stimare e sperare altro, eccetto che come tutto è da buono; cossí tutto è buono, per buono ed a buono; da bene, per bene, a bene. Del che il contrario non appare se non a chi non apprende altro che l'esser presente, come la beltade dell'edificio non è manifesta a chi scorge una minima parte di quello, come un sasso, un cemento affisso, un mezzo parete; ma massime a colui che può vedere l'intiero e che ha facultà di far conferenza di parti a parti. Non temiamo che quello che è accumulato in questo mondo, per la veemenza di qualche spirito errante o per il sdegno di qualche fulmineo Giove, si disperga fuor di questa tomba o cupola del cielo, o si scuota ed emuisca come in polvere fuor di questo manto stellifero; e la natura de le cose non altrimente possa venire ad inanirsi in sustanza, che alla apparenza di nostri occhi quell'aria ch'era compreso entro la concavitade di una bolla, va in casso; perché ne è noto un mondo, in cui sempre cosa succede a cosa senza che sia ultimo profondo, da onde, come da la mano del fabro, irreparabilmente emuiscano in nulla. Non sono fini, termini, margini, muraglia che ne defrodino e suttragano la infinita copia de le cose. Indi feconda è la terra ed il suo mare; indi perpetuo è il vampo del sole, sumministrandosi eternamente esca a gli voraci fuochi ed umori a gli attenuati mari; perché dall'infinito sempre nova copia di materia sottonasce. Di maniera che megliormente intese Democrito ed Epicuro che vogliono tutto per infinito rinovarsi e restituirsi, che chi si forza di salvare eterno la costanza de l'universo, perché medesimo numero a medesimo numero sempre succeda e medesime parti di materia con le medesime sempre si convertano.
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Giove Democrito Epicuro
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