Or sia che si voglia di quella superficie, constantemente dimandarò: che cosa è oltre quella? Se si risponde che è nulla, questo dirò io esser vacuo, essere inane; e tal vacuo e tal inane che non ha modo, né termine alcuno olteriore; terminato però citeriormente. E questo è piú difficile ad imaginare, che il pensar l'universo essere infinito ed immenso. Perché non possiamo fuggire il vacuo, se vogliamo ponere l'universo finito. Veggiamo adesso, se conviene che sia tal spacio in cui sia nulla. In questo spacio infinito si trova questo universo (o sia per caso o per necessità o per providenza, per ora non me ne impaccio). Dimando se questo spacio che contiene il mondo, ha maggiore aptitudine di contenere un mondo, che altro spacio che sia oltre.
Fracastorio. Certo mi par che non; perché dove è nulla, non è differenza alcuna; dove non è differenza, non è altra ed altra aptitudine: e forse manco è attitudine alcuna dove non è cosa alcuna.
Elpino. Né tampoco inepzia alcuna. E delle due piú tosto quella che questa.
Filoteo. Voi dite bene. Cossí dico io che, come il vacuo ed inane (che si pone necessariamente con questo peripatetico dire) non ha aptitudine alcuna a ricevere, assai meno la deve avere a ributtare il mondo. Ma di queste due attitudini noi ne veggiamo una in atto, e l'altra non la possiamo vedere a fatto, se non con l'occhio della raggione. Come dunque in questo spacio, equale alla grandezza del mondo (il quale da platonici è detto materia), è questo mondo, cossí un altro può essere in quel spacio ed in innumerabili spacii oltre questo equali a questo.
| |
|