Questa illazione diciamo noi che non vale fisicamente, benché logicamente sia vera: atteso che quantunque, computando con la raggione, ritroviamo infinite parti che sono attive, ed infinite che sono passive, e queste sieno prese come un contrario e quelle come un altro contrario; nella natura poi, - per esserno queste parti disgionte e separate, e con particulari termini divise, come veggiamo, - non ne forzano né inclinano a dire, che l'infinito sia agente o paziente, ma che nell'infinito parte finite innumerabili hanno azione e passione. Concedesi dunque, non che l'infinito sia mobile ed alterabile, ma che in esso sieno infiniti mobili ed alterabili; non che il finito patisca da infinito, secondo fisica e naturale infinità, ma secondo quella che procede di una logica e razionale aggregazione che tutti gravi computa in un grave, benché tutti gravi non sieno un grave. Stante dunque l'infinito e tutto inmobile, inalterabile, incorrottibile, in quello possono essere, e vi son moti ed alterazioni innumerabili e infiniti, perfetti e compiti. Giongi a quel ch'è detto che, dato che sieno doi corpi infiniti da un lato, che da l'altro lato vegnano a terminarsi l'un l'altro, non seguitarà da questo quel che Aristotele pensa che necessariamente séguita, cioè, che l'azione e passione sarebono infinite; atteso che, se di questi doi corpi l'uno è agente in l'altro, non sarà agente secondo tutta la sua dimensione e grandezza: perché non è vicino, prossimo, gionto e continuato a l'altro secondo tutta quella, e secondo tutte le parti di quella.
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Aristotele
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