Filoteo. Come può essere altrimente, non conoscendosi da noi altro fondamento di lume? Perché vogliamo appoggiarci a vane fantasie, dove la esperienza istessa ne ammaestra?
Elpino. È vero che non doviamo pensare que' corpi aver lume per certo inconstante accidente, come le putredini di legni, le scaglie e viscose grume di pesci, o qual fragilissimo dorso di nitedole e mosche nottiluche, de la raggione del cui lume altre volte ne raggionaremo.
Filoteo. Come vi parrà.
Elpino. Cossí dunque non altrimente s'ingannano quelli che dicono gli circostanti luminosi corpi essere certe quinte essenze, certe divine corporee sustanze di natura al contrario di queste che sono appresso di noi, ed appresso le quali noi siamo; che quei che dicessero il medesimo di una candela o di un cristallo lucente visto da lontano.
Filoteo. Certo.
Fracastorio. In vero questo è conforme ad ogni senso, raggione ed intelletto.
Burchio. Non già al mio, che giudica facilmente questo vostro parere una dolce sofisticaria.
Filoteo. Rispondi a costui tu, Fracastorio, perché io ed Elpino, che abbiamo discorso molto, vi staremo ad udire.
Fracastorio. Dolce mio Burchio, io per me ti pono in luogo.d'Aristotele, ed io voglio essere in luogo di uno idiota e rustico che confessa saper nulla, presuppone di aver inteso niente, e di quello che dice ed intende il Filoteo, e di quello che intende Aristotele e tutto il mondo ancora. Credo alla moltitudine, credo al nome della fama e maestà de l'autorità peripatetica, admiro insieme con una innumerabile moltitudine la divinità di questo demonio de la natura; ma per ciò ne vegno a te per essere informato de la verità, e liberarmi dalla persuasione di questo che tu chiami sofista.
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