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      Conosciuto il doppio carattere della merce, di essere, cioè, un valore di uso e un valore di scambio, si comprenderà che la merce può nascere solamente per opera del lavoro, e di un lavoro utile a tutti. L'aria per esempio, le praterie naturali, la terra vergine ecc. sono utili all'uomo, ma non costituiscono per lui alcun valore, perché non sono il prodotto del suo lavoro e, per conseguenza, non sono merci. Noi possiamo fabbricarci oggetti per i nostri propri usi, ma che non possono essere utili per gli altri; in tal caso non produciamo merci; come ancor meno ne produciamo quando lavoriamo intorno ad oggetti, che non hanno alcuna utilità né per noi né per gli altri.
      Le merci, dunque, si scambiano tra loro; l'una, cioè, si presenta come l'equivalente dell'altra. Per la maggiore comodità degli scambi si comincia a servirsi sempre di una data merce come equivalente; la quale esce così dal rango di tutte le altre, per mettersi di fronte ad esse quale equivalente generale, cioè moneta. La moneta perciò è quella merce che, per la consuetudine e per la sanzione legale, ha monopolizzato il posto di equivalente generale. Così è avvenuto da noi per l'argento. Mentre prima 20 chili di caffè, un abito, 20 metri di tela e 250 grammi di argento erano quattro merci, che si scambiavano indistintamente fra loro, oggi invece si ha che 20 chili di caffè, 20 metri di tela ed un abito sono tre merci, che valgono 250 grammi di argento, cioè 50 lire.
      Però, sia che lo scambio si faccia immediatamente da merce a merce, sia che lo scambio si faccia mediante la moneta, la legge degli scambi resta sempre la stessa.


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Compendio del Capitale
di Carlo Cafiero
pagine 112