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      Il primo era plusvalore assoluto, questo è plusvalore relativo.
      Il plusvalore relativo si fonda sulla diminuzione del lavoro necessario; la diminuzione del lavoro necessario si fonda sulla diminuzione del salario; la diminuzione del salario si fonda sulla diminuzione del prezzo delle cose, che sono necessarie all'operaio; dunque il plusvalore relativo è fondato sul ribasso delle merci che servono all'operaio.
      E ci sarebbe pure un mezzo più spiccio per produrre il plusvalore relativo, dirà qualcuno, e sarebbe di pagare al lavoratore un salario minore di quello che gli spetta, cioè non pagargli il giusto prezzo della sua merce, la forza lavoro. Questo espediente, molto usato infatti, non può essere da noi menomamente considerato, perché non ammettiamo che la più perfetta osservanza della legge degli scambi, secondo la quale tutte le merci, e per conseguenza anche la forza del lavoro, devono essere vendute e comprate al loro giusto valore. Il nostro capitalista, come già vedemmo, è un borghese assolutamente onesto; egli non userà mai, per ingrossare il suo capitale, un mezzo che non sia interamente degno di lui.
      Supponiamo che, in una giornata di lavoro, un operaio produca 6 articoli di una merce, che il capitalista vende per il prezzo di L. 7,50, perché nel valore di questa merce la materia ed i mezzi di lavoro ci entrano per L. 1,50 e la forza del lavoro di 12 ore per 6 lire: tutti tre gli elementi, quindi, per L. 7,50. Il capitalista trova sul valore di L. 7,50, che ha la sua merce, un plusvalore di 3 lire e sopra ogni articolo un plusvalore di L. 0,50, perché spende L. 0,75 e ricava L. 1,25 da ognuno di essi.


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Compendio del Capitale
di Carlo Cafiero
pagine 112