Questa diminuzione di spesa e di tempo è una diminuzione di cose occorrenti all'operaio, cioè una diminuzione di lavoro necessario, ed un aumento corrispondente di sopralavoro e plusvalore. Il capitalista, da vero parassita, s'ingrassa sempre più a spese del lavoro, ed il lavoratore ne soffre grandemente.
La manifattura rivoluziona da cima a fondo il modo di lavoro individuale e attacca nella sua radice la forza lavoro. Essa storpia il lavoratore, essa fa di lui qualche cosa di mostruoso, attivando lo sviluppo fittizio della sua abilità di dettaglio e sacrificando una grande quantità di disposizioni e d'istinti produttori, nella stessa guisa che, negli Stati della Plata, si immola un toro per avere la sua pelle ed il suo sego.
Non è solamente il lavoro che è diviso, suddiviso e ripartito fra diversi individui, è l'individuo stesso che è sminuzzato e trasformato in molla automatica in una operazione esclusiva, di guisa che si trova realizzata la favola assurda di Menenio Agrippa, rappresentante un uomo come frammento del suo proprio corpo. Stewart chiama gli operai delle manifatture automi viventi impiegati nei dettagli di un'opera.
Originariamente l'operaio vende al capitalista la sua forza lavoro, perché i mezzi materiali della produzione gli mancano. Ora la sua forza lavoro rifiuta ogni servizio se non è venduta. Per poter funzionare gli abbisogna quel centro sociale il quale non esiste che nell'opificio del capitalista. Nella stessa guisa che il popolo eletto portava scritto sul suo fronte che egli era proprietà di Jeova, così l'operaio di manifattura è marcato a fuoco col sigillo della divisione del lavoro, che lo rivendica come proprietà del capitale.
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