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      Resta ancora a sapere se le invenzioni meccaniche, fatte insino ad oggi, abbiamo alleggerito il lavoro quotidiano di un essere umano qualunque". Non era questo il loro scopo. Come ogni altro sviluppo della forza produttiva del lavoro, l'impiego capitalista delle macchine non tende che a diminuire il prezzo delle merci, a raccorciare la parte della giornata, nella quale il lavoratore lavora per se stesso, affine di allungare l'altra, nella quale egli non lavora che per il capitalista. È un metodo particolare per fabbricare plusvalore relativo."(7)
      Ma chi è che pensa mai al lavoratore? Se il capitalista si occupa di lui, è solamente per studiare il modo migliore di sfruttarlo. L'operaio vende la sua forza lavoro, ed il capitalista la compra, come l'unica merce che, con il suo plusvalore, possa fargli nascere e crescere il capitale. Il capitalista, dunque, d'altro non si occupa che di fabbricare sempre più plusvalore. Dopo aver esaurito le risorse del plusvalore assoluto, ha trovato il plusvalore relativo. Egli ora vede che con le macchine si può ottenere nello stesso tempo un prodotto due volte, quattro volte, dieci volte, eccetera, più grande di prima; e adotta le macchine. La cooperazione, la manifattura, si trasforma così in grande industria ed il suo opificio in fabbrica.
      Il capitalista, dopo aver mutilato e storpiato l'operaio con la divisione del lavoro, dopo di averlo limitato ad una sola operazione parziale, ci fa assistere ad uno spettacolo più triste ancora. Egli strappa dalle mani del lavoratore quell'unico arnese, il quale gli ricordava ancora la sua arte, il suo antico stato di uomo completo, e lo affida alla macchina.


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Compendio del Capitale
di Carlo Cafiero
pagine 112