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      D'ora in poi il capitalista non ha più bisogno del lavoratore, che come servo delle sue macchine.
      Con l'introduzione delle macchine, il capitalista realizza a tutta prima un enorme profitto, come facilmente si comprende, ricordando quanto dicemmo a proposito del plusvalore relativo. Con la propagazione però del sistema di produzione meccanica, il guadagno straordinario cessa, e vi resta solamente l'aumento di produzione che, reso generale dalla generalizzazione delle macchine, viene a diminuire il valore delle cose necessarie all'operaio, il tempo di lavoro necessario, e i salari, e ad aumentare il sopralavoro e il plusvlore.
      Il capitale si distingue in costante e variabile. Dicesi capitale costante quello che è rappresentato dai mezzi di lavoro e dalle materie di lavoro. Il fabbricato, i caloriferi, gli strumenti, le materie ausiliarie, come sego, carbone, olio, eccetera, le materie di lavoro, come ferro, bambagia, seta, argento, legno, eccetera, sono tutte cose che formano parte del capitale costante. Il capitale variabile è quello che viene rappresentato dal salario, dal prezzo cioè della forza lavoro. Il primo dicesi costante, perché costante resta il suo valore nel valore della merce, del quale viene a far parte; mentre il secondo dicesi variabile, appunto perché il suo valore aumenta entrando a far parte del valore della merce. È il solo capitale variabile che crea plusvalore; e la macchina non può far parte che del capitale costante.
      Il capitalista si propone, nella grande industria, di profittare di una enorme massa di lavoro passato, nella stessa guisa che profitterebbe di una massa di forze naturali, cioè gratuitamente.


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Compendio del Capitale
di Carlo Cafiero
pagine 112