Si abusa del meccanismo per trasformare l'operaio, dalla sua più tenera infanzia, in particella di una macchina, che fa essa stessa parte di un'altra. Non solamente le spese, che esige la sua riproduzione, si trovano in tal guisa considerevolmente diminuite, ma la sua dipendenza dalla fabbrica e perciò stesso dal capitale è diventata assoluta.
Nella manifattura e nel mestiere, l'operaio si serve del suo istrumento; nella fabbrica, egli serve la macchina. Là, il movimento dell'istrumento di lavoro parte da lui; qui, egli non fa che seguirlo. Nella manifattura gli operai formano tante membra d'un meccanismo vivente. Nella fabbrica, essi sono incorporati ad un meccanismo morto, che esiste indipendentemente da loro. La facilità stessa del lavoro diventa una tortura, nel senso che la macchina non libera l'operaio dal lavoro, ma spoglia il lavoro del suo interesse. Il mezzo di lavoro, convertito in automa, si drizza innanzi all'operaio, durante il processo del lavoro, sotto forma di capitale, di lavoro morto, che domina e inghiotte la sua forza vivente.
La grande industria meccanica compie finalmente la separazione tra il lavoro manuale e le potenze intellettuali della produzione, le quali essa trasforma in poteri del capitale sul lavoro. L'abilità dell'operaio appare meschina innanzi alla scienza prodigiosa, alle enormi forze naturali, alla grandezza del lavoro sociale incorporato nel sistema meccanico, che costituisce la potenza del Padrone. Nel cervello di questo padrone, il suo monopolio sulle macchine si confonde con l'esistenza delle macchine stesse.
| |
Padrone
|