Il servo, che, insieme con la terra, alla quale è attaccato, appartiene al suo signore, è, per l'osservatore superficiale, un essere che ha fatto dei progressi in confronto dello schiavo, perché il servo si vede chiaramente che dà una parte sola del suo lavoro al suo signore, mentre impiega l'altra parte sulla poca terra assegnatagli, per campare la vita. E il salariato, alla sua volta, apparisce al superficiale osservatore, uno stato molto più progredito a paragone della servitù, perché il lavoratore sembra in esso perfettamente libero, percependo il valore del proprio lavoro.
Strana illusione! Se il lavoratore potesse realizzare per sé il valore del proprio lavoro, il modo di produzione capitalista non potrebbe allora più esistere. Noi l'abbiamo già visto. Il lavoratore altro non può ottenere che il valore della sua forza di lavoro, che è la sola cosa che può vendere, perché è il solo bene che possieda al mondo. Il prodotto del lavoro appartiene al capitalista, il quale paga al proletario il salario, cioè il suo mantenimento. Nella stessa guisa, il pezzo di terra, non che il tempo e gli strumenti necessari a lavorarlo, lasciati dal signore al suo servo, sono la somma dei mezzi che questi ha per vivere, mentre deve lavorare tutto il resto del tempo per il suo signore.
Lo schiavo, il servo e l'operaio lavorano tutti tre in parte per produrre il loro mantenimento, e in parte assolutamente per il guadagno dei loro padroni. Essi rappresentano tre forme diverse dell'istessissimo vincolo di soggezione e sfruttamento umano.
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