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      Uscito dalla Casa di lavoro, entrai nella casa d'un operaio in ferro, privo di lavoro da 27 settimane. Lo trovai seduto con tutta la sua famiglia in una camera remota. La camera non era ancora del tutto sguarnita di mobili, e vi era un po' di fuoco, indispensabile in una giornata di freddo terribile, per impedire che i piedi nudi dei fanciulli si gelassero. Innanzi al fuoco vi era una certa quantità di stoppa, che le donne e i fanciulli dovevano filare, in ricambio del pane loro fornito dalla Casa di lavoro. L'uomo lavorava nella corte sopra accennata per un bono di 6 soldi al giorno. Egli era in quel punto arrivato per il pasto del mezzodì, molto affamato, come disse egli stesso con un amaro sorriso, e questo pasto consisteva in qualche fetta di pane con strutto e una tazza di tè senza latte. La seconda porta, alla quale picchiammo, fu aperta da una donna, che senza dir parola ci condusse in una piccola camera nel fondo, dove si trovava tutta la sua famiglia silenziosa e con gli occhi fissi su di un fuoco prossimo a estinguersi. Vi era intorno a questa gente un'aria di solitudine e di disperazione, da farmi augurare di non rivedere più mai simili scene...
      Essi non hanno guadagnato nulla, signore" disse la donna mostrando i suoi piccoli figliuoli "niente, da 26 settimane, e tutto il nostro denaro se n'è andato, tutto il denaro che il padre e io avevamo messo da parte in tempi migliori, con la vana speranza di assicurarci una riserva per i giorni cattivi. Vedete!" gridò con accento quasi selvaggio, e nell'istesso tempo ci mostrava un libretto di banca, dove erano indicate regolarmente tutte le somme successivamente versate, poi ritirate, di guisa che potemmo constatare, come il piccolo peculio, dopo aver incominciato da un deposito di 5 scellini, dopo essersi ingrossato sino a 20 L. st.


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Compendio del Capitale
di Carlo Cafiero
pagine 112

   





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