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      Vedemmo l'operaio mutilato, avvilito, e depresso al massimo grado dalla divisione del lavoro, nella manifattura. Lo vedemmo soffrire gl'inenarrabili dolori materiali e morali, causatigli dall'introduzione delle macchine, nella grande industria. Espropriato dell'ultima particella di virtù artigiana, lo vedemmo ridotto a mero servo della macchina, trasformato, da membro di un organismo vivente, in appendice volgarissima di un meccanismo, torturato dal lavoro vertiginosamente intensificato della macchina, che a ogni tratto minaccia strappargli un brandello delle sue carni, o stritolarlo completamente fra i suoi terribili ingranaggi; e per di più vedemmo la moglie e i teneri figli suoi divenuti schiavi del capitale. E intanto il capitalista, arricchito immensamente, gli paga un salario, che egli può a suo piacere diminuire, anche facendo mostra di conservarlo allo stesso livello di prima, e perfino di aumentarlo. Finalmente vedemmo l'operaio, temporaneamente inutilizzato dall'accumulazione del capitale, passare dall'armata attiva industriale nella riserva, per poi, da questa, cadere per sempre nell'inferno del pauperismo. Tutto il sacrificio è consumato!
      Ma come mai ha potuto avvenire tutto ciò?
      In un modo molto semplice. L'operaio era, è vero, possessore della sua forza di lavoro, con la quale avrebbe potuto produrre ogni giorno molto più di quanto abbisognava per sé e per la sua famiglia, ma gli mancavano però gli altri elementi indispensabili del lavoro, i mezzi, cioè, e le materie di lavoro.


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Compendio del Capitale
di Carlo Cafiero
pagine 112