Essi sono assolutamente privi di
ogni idea di decenza. Nel valutare il carattere morale dei selvaggi, conviene ricordarsi che non
solo fra loro la regola del bene e del male era ed è ancora in molti casi assai lontana dalla no-
stra, ma anche che molti di loro possono appena venire considerati come esseri responsabili, e
non posseggono nessuna nozione, anche difettosa e vaga, della rettitudine morale.
Nei Tonga l'idea del buono è espressa con quella del robusto. Un giorno un convertito
Dacota presentavasi ai missionarii chiedendo il battesimo, ma fu respinto perchè poligamo. Al-
cuni mesi dopo ritornava dicendo che non aveva più mogli, e quindi era in piena regola colla
Chiesa. "E che ne avvenne delle tue donne?" gli domandava il missionario. "Io lo ho mangiate"
rispose il neofito. Un selvaggio australiano, richiesto da un Europeo, che cosa fosse il bene od il
male, rispose: "Bene, è mangiare il proprio nemico; male, è esserne mangiato." Assai analoga-
mente sentenziava a Baker il re Commor: "Buono vuol dire essere forte." Un Rongatura (Au-
strale) côlto in furto e domandato da un viaggiatore se non temesse di esserne punito dagli Dei:
Oh! no, disse, quando gli Dei erano in terra facevano altrettanto, e i genitori amano essere imi-
tati dai figli." Nell'Africa orientale non si capisce che cosa sia il rimorso: il ladro è un uomo ri-
spettabile, l'assassino è un eroe. Nell'Africa australe, presso i Bechuana, quando si vuol prende-
re un leone di quelli che hanno fame di uomo, gli si mette per esca nella fossa un bambino od
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Antropologia
di Giovanni Canestrini
Hoepli Milano 1888
pagine 204 |
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