La Chiesa non aveva mai dissimulato, e tanto meno giustificato, i disordini e gli abusi pullulati nel suo seno; né mai tenne quei sublimi suoi comizii, che chiamansi concilii, che non facesse savii decreti di riforma. E forse un uomo di alta e sincera volontà avrebbe anche allora potuto condurre a mediazione pacifica, a risoluzione cristiana la chiassosa discrepanza delle credenze e degli atti, adoprandovi l'amore, non l'ira, l'abbraccio, non la repulsione, per saldare l'unità, anzichè sconnetterla irreparabilmente. Ma, come in altri simili casi, la potenza minacciata s'addormentò sull'orlo del precipizio: papa Leone, dedito al deliziarsi ed alle lettere, e poco temendo dai Tedeschi che reputava grossolani e sprovvisti di maschia volontà, non ebbe tal dissensione in più concetto delle tante scolastiche, le quali nascevano e morivano senza lasciar traccia, fra gli ozii ringhiosi e superbi dei conventi e delle università. Scossosi poi, come persona che è destata per forza, diede in estremi, che precipitarono la ruina. Adriano, successogli, conobbe gli abusi della curia romana e del clero, e pensava efficacemente al rimedio. Ma la morte gli ruppe il disegno, e i letterati ne menarono trionfo. Quando i successori videro a quanta importanza riuscisse il movimento, già si era là dove inutili uscir dovevano ammonizioni, consigli, scomuniche. Stabilita già in più parti la nuova credenza, e sostenuta coll'ardore della novità, coll'autorità d'uomini che avevano studiato a fondo, coll'interesse di quei che avevano usurpato i beni delle chiese e dei conventi, coll'appoggio dei principi, che, tolto l'ostacolo di Roma, potevano ormai fare ogni lor voglia, come capi nello spirituale, al pari che nel temporale, fin colla prepotenza delle armi.
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